top of page

La mascherina di uso medico dal tardo Ottocento fino ad oggi

Aggiornamento: 7 dic 2020

Le annotazioni sono poste in fondo a questo articolo




La premessa teorico-scientifica della mascherina


Vi sono principalmente tre grandi figure dell’Ottocento frequentemente (sovr)accreditate (1) per aver avviato una serie di pratiche mediche rivoluzionarie: L. Pasteur per il lavoro preliminare della dimostrazione di esistenza dei batteri, I. Semmelweis per le pratiche di disinfezione delle mani, e per la ricerca sull’antisepsi J. Lister; essi divenirono una pietra d'angolo per la ricostruzione storica dell'innovazione medica.

In questo articolo tratteremo di una delle conseguenze fondamentali, iniziata dal lavoro degli scienziati qui sopra, sull’insieme delle pratiche mediche.

Si potrebbe attribuire, grazie alle scoperte sull’esistenza dei batteri, la nascita del discorso paradigmatico avviato nel 1870 (Matuschek et al. 2020) sulle infezioni contratte dalla trasmissione di batteri tramite ferite durante operazioni chirurgiche (chiamatesi allora cancrene da ospedale). La limitazione degli “effetti collaterali” di un’operazione, come venne dimostrato dall’igienista della Confederazione Germanica C. Flügge insieme all’austriaco J. von Mikulicz nel 1897, dipende (oltre che all’igienizzazione delle mani e della strumentazione) dall’utilizzo di una fasciatura della bocca con uno strato di garza.

Ciò può apparire un modo grossolano di proteggere i tessuti esposti del paziente, eppure il lavoro dei due ricercatori ottenne ampio riconoscimento in ambito scientifico. L’oggetto della ricerca furono le “goccioline” (droplet) in quanto capaci di trasmettere batteri e di causare infezioni da ferite chirurgiche. Tale lavoro dimostrò, in seguito, di essere un grande passo avanti nella direzione corretta verso un modello efficace per i minori effetti collaterali possibili durante un’operazione chirurgica. Seguirono difatti vari studi sulla circolazione di batteri nell’aria della sala operatoria che confermarono la ricerca precedente.


Nonostante l’importante innovazione, intorno al 1910 il personale medico di operazioni chirurgiche e degli ospedali generali (di cui sia abbia documentazione, negli Stati Uniti e Germania) iniziò a fare uso frequente di protezioni del viso durante il lavoro (e di guanti sterili, introdotti da von Mikulicz). Solo entrando negli anni ‘20 esse si diffusero come una pratica comune nelle sale operatorie. Furono però incontrate varie resistenze dai chirurgi per l’innaturalezza dell’indossare vari strati di garza sul volto, da loro ritenuti come difficoltosi per la respirazione e necessari solamente per chi possiede “catarro” o “angina”.

Ad ogni modo, re-indirizzare gli efflussi orali verso i lati del viso o limitarne semplicemente la quantità emessa frontalmente si dimostrò una pratica capace di ridurre la carica batterica a cui una ferita in sala chirurgica poteva essere esposta.

Questa scoperta si tradusse in seguito in un processo di evoluzione della garza sul viso, consistente inizialmente nell’aumento di strati, nella diversità di materiali idroassorbenti usati e addirittura l’inserimento di uno strato di gomma interno. L’uso della protezione del viso però non aveva finalità medico-sanitarie solo nelle sale chirurgiche: ben presto la concezione del rischio relativo alle droplets fu esteso alle epidemie nel Novecento (2).




La mascherina per la sicurezza pubblica nel primo Novecento

Nel 1918, con il dilagare globale della pandemia conosciuta come “influenza spagnola”(3) varie autorità statunitensi valutarono la possibilità di arrestarne la diffusione tramite l’uso generalizzato di misure di contenimento.

Nel caso di Tucson(4), Arizona, si può parlare dell’implementazione di un lockdown generale dei servizi pubblici e delle attività commerciali. Ebbe inizialmente la forma di invito, poi divenuto coercizione, l'obbligo di indossare una copertura per le vie orali nelle aree pubbliche ai fini di combattere un nemico; quest'ultimo era però geograficamente più vicino di quello sconfitto in Europa nella Prima Guerra Mondiale: l’influenza spagnola.

«Let the city health officer issue an order “to the effect that every man, woman and child in Tucson wear a mask”»

Immediatamente, imitando il modello di lockdown di San Francisco per le medesime ragioni, la città di Tucson si mobilitò per fabbricare un ingente numero di maschere per il viso, con l’aiuto della Croce Rossa. Per rafforzare le misure implementate, venne inoltre emessa una rettifica che violò la circolazione in pubblico (nel senso di tutti gli spazi esterni alla proprietà privata) senza una mascherina che coprisse naso e bocca.


Il risultato riscontrato, come previsto, fu che il numero di casi di influenza diminuì notevolmente e con esso le morti correlate. La quarantena totale durò 51 giorni, e in seguito vennero allentate le misure di chiusura, con le autorità locali e la stampa che richiamarono il pubblico, lanciando un messaggio dai toni solidali: “[colui] che non crede nell’importanza della maschera dovrebbe esser volenteroso nell’indossarla per la serenità dell’altro che vi crede” (5), e al tempo stesso autoritari, minacciando un’altra chiusura totale nel caso di mancato rispetto della legge. Tali misure diedero vita ad un nuovo ambito della giurisprudenza statunitense, in Tucson come in altre città colpite: una “resistenza” civile all’imposizione delle mascherine, che fece ricorso legale alle ordinanze emesse per incostituzionalità ed altre accuse contro la gestione della sicurezza pubblica. Scaturirono in seguito diversi processi giudiziari che coinvolsero i cittadini obiettanti e le autorità locali.


Questa esperienza fu un chiaro esempio di come “molti cittadini siano stati capaci di collaborare per espellere la malattia dalla comunità, alcune regole mancarono di rinforzo efficace”(Luckhingam 1984, corsivo mio). Peraltro, nella memoria collettiva si finì per ricordare più la Prima Guerra mondiale che questa esperienza di minor successo nell’immaginario statunitense, dimenticando i giorni di malattia e sconfitta.




La nuova interpretazione nell’inquinata Londra: le “smog masks”

Si ha un ulteriore cambiamento dell’uso dell’artefatto tecnologico della mascherina.

Fino al termine della prima guerra mondiale si era impresso nella società che essa avesse il mero fine di ostacolare la diffusione di batteri per via orale.

Tale concezione inizia ad avere un nuovo slittamento, partendo dal rapporto di influenza reciproca tra innovazione e società di cui tratta Bijker (6) per cui gli utilizzatori modificano l’artefatto, o l’uso di questo, verso uno sfruttamento delle potenzialità protettive nei confronti dello smog. Ciò non toglie l'eventualità che l'innovazione abbia prodotto una modifica delle pratiche delle collettività, in quanto la relazione è reciproca.

Si nota come l'utilizzo della mascherina può ampliare le sue modalità per rispondere alle necessità sorte in alcuni gruppi, per poi espandersi, come una moda. La continuità del ruolo chirurgico-strumentale, correlata al consistente cambiamento del modello tecnico e dei materiali, ed al ruolo delle agencies che imposero l’utilizzo della mascherina nei momenti più critici fanno sì che nasca un nuovo uso del dispositivo.

Per fornire un contesto storico-strutturale a questo tentativo di applicazione della teoria, si deve portare la nostra attenzione sulla capitale britannica del 1952. Un duro inverno, combinato alla necessità (di lungo termine) di ripagare i debiti di guerra, portò le industrie delle periferie londinesi a bruciare più carbone conveniente ma di peggiore qualità. Tale accostamento avvenne a livelli preoccupanti, per cui lo smog, in minima ed inconfermata correlazione (non causazione) con la diffusione dell’influenza invernale, produsse un aumento insolito della mortalità per la vita urbana.

Ciò che si può notare di questo inverno è come, nonostante non vi fosse stato un forte panico tra i cittadini (lo smog non era particolarmente cosa nuova), si iniziò a fare un innovativo utilizzo della mascherina per preservare la salute dei polmoni. Questa è una tappa fondamentale, ben differente dalla storia urbana in cui, fino al secolo precedente, i cittadini fecero uso unicamente di fazzoletti per evitare “l’aria malsana della città”: è l’utilizzo della mascherina che avrà più successo in seguito, nelle aree densamente popolate dei paesi in via di sviluppo, proprio per le medesime condizioni nettamente malsane della produzione industriale localizzata in prossimità di aree urbane.

La seconda metà del Novecento non permette all’Occidente di avere nuove situazioni di epidemie o di inquinamento letale come quelle incontrate fino ad ora. L’utilizzo anti-smog delle mascherine non attecchì come parte fondamentale della vita quotidiana, probabilmente per i vasti cambiamenti in quest'epoca del mondo occidentale (7).


Il Ventunesimo secolo e la presenza della mascherina

Nonostante siano stati fatti grandi passi per debellare (o più correttamente minimizzare) la malattia dall’esperienza umana, svariati virus circolano ancora nelle società di tutto il mondo, causando pandemie globali (8). Tra le più pericolose, sono state frequentemente identificate l’epidemia rilevata in Cina SARS 2002-2004, la pandemia influenzale rilevata in Messico AH1N1 del 2009, l’epidemia di Ebola rilevata più volte in Africa centro-occidentale con ultimo picco nel 2013-2016 ed infine la pandemia di SARS-CoV-2 (COVID-19) annunciata nel marzo 2020, anch’essa rilevata in Cina.

Quasi un secolo più tardi dell’influenza spagnola, persiste l'approfondimento della ricerca sull’efficienza della mascherina in relazione alle epidemie più recenti, anche se si considerano diversi modelli e nuovi materiali rispetto al secolo precedente. Una constatazione essenziale per questa ricerca è che i modelli di filtrazione più recenti (tra cui FFP2) sono più efficienti nell’ostacolare il contagio rispetto a maschere di cotone, le quali rimangono comunque un'alternativa alla diffusione di malattie che si trasmettono come l'influenza (Cowling et al. 2010).

Oltre che alla ricerca in ambito scientifico, si deve considerare che in queste decadi a noi vicine la storia della mascherina è ben estesa alla moda, al consumo di massa e ai fashion statements.


Si potrebbe proporre che gli elementi che hanno segnato il processo (non lineare se incluso l’utilizzo contro lo smog e per moda) dell’artefatto abbiano profondamente segnato l’esperienza pandemica che il globo sta vivendo al momento.Ciò lo si potrebbe sostenere per il riproporsi di elementi che costituiscono il campo semantico del termine "mascherina" già presenti in condizioni precedenti per pandemie, per sterilità chirurgica, per smog.

Tali elementi (che si potrebbero identificare oggi) appaiono costituire il seguente assioma in più esperienze storiche: la “barriera” per le vie orali costituita dalla mascherina (insieme ad altre coercizioni collettive come le misure di contenimento) pare essere un simbolo di tre aspetti; da un lato, indebolisce l’arma più potente di qualsiasi virus ovvero la diretta trasmissione di fluidi volatili in compresenza fisica umana, esercitata in normali contesti sociali. Dall’altro, pare essere un esempio dell’essenzialità dell’organizzazione umana in contesti di emergenza sanitaria. Il terzo volto, che esisteva già prima della pandemia di quest'anno, è quello che rende la mascherina un dispositivo di espressione simbolica, di identificazione (come potrebbe essere una mascherina in cotone con la bandiera italiana) verso una certa collettività o elementi culturali.


Le mascherine quindi, sono un’innovazione ed una pratica che hanno dimostrato di avere un ruolo raramente narrato nella storia dei drammi sanitari della modernità. Nonostante le consistenti, ripetute proposte della ricerca medico-scientifica sull’importanza del suo utilizzo non vengano regolarmente considerate; nonostante un pericoloso atteggiamento per cui nei protocolli statali per le emergenze sanitarie la mascherina sia un concetto polveroso e dimenticato, nella più recente pandemia siamo stati tutte e tutti richiamati ad utilizzarla.


Non è compito della storia predirre con esattezza il futuro dell’esistenza umana; una volta consapevoli di ciò, si potrebbe ampliare ora la discussione.Come si potrebbero dunque organizzare le nostre vite quotidiane nel momento in cui una pandemia globale non incombe?

Alcune testate scientifiche stimano che esse aumenteranno se manteniamo le nostre pratiche di spostamenti globali, di urbanizzazione, di cambiamento climatico, di aumento nei contatti uomo-animale ed infine di diminuzione di operatori sanitari (9).

Una volta espressa la domanda finale, la cui risposta è merito di un’indagine a parte. Ci auguriamo di aver adempiuto il nostro obiettivo, ovvero di approfondire la rilevanza storica della face mask.


Note

1. Come sostenuto da Latour (1991), Pasteur è stato un personaggio che ha spesso ricoperto un ruolo fondamentale, quasi mitizzato, nella ricostruzione della storia della ricerca batteriologica, a tal punto da non essere neppure messo in discussione in alcun modo dai suoi seguaci. I risultati degli esperimenti di Pasteur vengono infatti accolti ben presto dalla stampa scientifica “con avidità e portati ben al di là [... di] ciò che stava difendendo”.

2. Nel 1905, sul Journal of the American Medical Association fu pubblicato un articolo scritto dal medico Alice Hamilton di Chicago, che trattò del rischio di trasmissione batteriologica causato da tosse ed altre esalazioni orali, come ulteriore dimostrazione che fuori dalla sala chirurgica il contagio può egualmente avvenire secondo precise modalità volatili degli streptococchi della febbre da scarlattina. Questo è un esempio di come l'approfondimento delle epidemie più contagiose fu parte di un processo di comprensione sempre più ampio della trasmissione batteriologica, principalmente per esalazioni orali.

3. Si tratta del virus dell'influenza A sottotipo H1N1.

4. Luckingham si è occupato di riassumere in un interessante lavoro gli effetti dell'influenza spagnola negli Stati Uniti, notevolmente documentato per un'epoca in cui frequentemente i registri medico-sanitari della situazione pubblica non permettono esattamente un’approfondita analisi storica secondo gli standard più vicini alla nostra era.

5. “[the] fellow who does not believe in the mask should be willing to wear it for the peace of mind of the fellow who does.", trascritto da Luckingham, traduzione mia.

6. Bijker è un celebre sociologo e ingegnere di cui si cerca di integrare il contributo teorico all'analisi storica dell'innovazione.

7. Si omette qui di esprimere la necessità, al momento insoddisfatta, di indagare i possibili fattori per supportare empiricamente tale affermazione: la riorganizzazione delle aree urbane in fase post-industriale, prendendo per esempio in considerazione l'Inghilterra, il miglioramento generalizzato delle condizioni sia del lavoro sia della qualità di vita come aspetti macro-strutturali, ma anche di come la cultura abbia avuto un ruolo nella marginalizzazione di un tale dispositivo fisico nel suo uso quotidiano. Difatti, potrebbe incuriosire riguardo all'ultimo punto come, prima della pandemia globale del 2020, non fosse raro sorprendersi (e anche disprezzare in alcuni casi) alla vista di qualcuno, etichettato come "cinese", "asiatico", "giapponese", che indossava una mascherina, per esempio, in città.

8. In B. J. Cowling et al. (2009) si fa un utilizzo ben considerato di termini come pandemia e globale.

9. Recenti articoli (tra cui alcuni della testata Gavi The Vaccine Alliance) tentano di approfondire questa argomentazione, che rivela essere un vaso di Pandora per il futuro della nostra specie in relazione all’ecosistema terrestre e alle nostre abitudini di consumo delle sue risorse


Bibliografia - Sitografia

  • Latour, B., “I microbi. Trattato scientifico-politico”, Editori Riuniti, (1991), pp. 35-36.

  • Matuschek, C., Moll, F., Fangerau, H. et al. The history and value of face masks. Eur J Med Res 25, 23 (2020).

  • Journal of the American Medical Association. United States, American Medical Association., (1905), p. 1108.

  • Luckingham, Bradford. “TO MASK OR NOT TO MASK: A Note on the 1918 Spanish Influenza Epidemic in Tucson.” The Journal of Arizona History, vol. 25, no. 2, (1984).

  • Davis, Devra. “Reassessment of the Lethal London Fog of 1952: Novel Indicators of Acute and Chronic Consequences of Acute Exposure to Air Pollution.” Environmental Health Perspectives (2001).

  • Bijker, W., “La bicicletta e altre innovazioni”, Milano, McGraw-Hill, (1998), cap. 1, pp.11-15.

  • Cowling, B. J., et al. “Face Masks to Prevent Transmission of Influenza Virus: a Systematic Review.” Epidemiology and Infection, vol. 138, no. 4, (2010), pp. 449–456., doi:10.1017/S0950268809991658.

  • 5 reasons why pandemics like COVID-19 are becoming more likely”, 28th April 2020, Gavi The Vaccine Alliance

Comments


Post: Blog2_Post

Modulo di iscrizione

Il tuo modulo è stato inviato!

©2020 di LaMascherina. Creato con Wix.com

bottom of page